Giornalismo

Immigrazione e morte, le foto che fanno male

C’è un dibattito, piuttosto animato, sulla foto del bambino morto in spiaggia a Bodrum in Turchia. Un’immagine che rimbalza, in modo violento, da una bacheca all’altra. Decine di condivisioni e “mi piace”.
Un quotidiano nazionale, il Manifesto, ha pubblicato e diffuso per primo questo scatto. E non è stato il solo. Altri giornali invece si sono limitati, per fortuna, all’immagine del poliziotto che porta tra le braccia questo corpicino senza vita. 
Mi chiedo: certe condivisioni su un social network cosa intendono alimentare? Cosa vogliono generare? Perché diffondere l’immagine di un bambino morto?
Non riesco a trovare una risposta.
Ho solo un grande timore: che ci si abitui a certi orrori.

Aggiornamento ore 12,39 del 3 settembre 2015. 

Ecco l’intervento del presidente dell’Ordine dei giornalisti pubblicato su Facebook

LA MORTE DI UN BIMBO PUÒ SCUOTERE LE COSCIENZE. 

Enzo Iacopino

Come prima reazione, ho provato vergogna nel vedere pubblicata la foto di un bimbo, faccia in giù nella sabbia, il corpo senza vita rivolto verso l’acqua del mare (la libertà per i suoi sogni quelle onde). Sembrava dormisse, sulla spiaggia di Bodrum in Turchia che vede presente, tra tanti, migliaia di turisti italiani.
Non è una violazione della nostra Carta di Treviso la cui finalità è tutelare lo sviluppo psicofisico del minore. Non lo avrà quel soldino di bimbo una sviluppo. Glielo ha tolto il modo cieco, barbaro, superficiale di affrontare questo esodo verso la speranza.
Certo, un minore può restare turbato da quella foto (pubblicata solo da alcuni quotidiani). Ma perché, gli adulti, noi “grandi” possiamo rimanere indifferenti? Siamo oltre la Carta di Treviso: sconfiniamo nella assoluta mancanza di pietà umana, affidata, come emerge da un’altra foto, solo alla tenerezza che usa un poliziotto turco nel raccogliere quel corpo senza vita.
Ho taciuto perché la collera (e il mio brutto carattere) mi avrebbe portato a un commento violento.
Così la ragione ha avuto il tempo di farsi largo nella tempesta dei sentimenti.
No, quella foto non l’avrei pubblicata. Non ne avrei avuto il coraggio.
Ma se l’averlo fatto riesce a mobilitare coscienze, facendo strame delle opposte demagogie, beh allora la morte di quel bimbo resterà una macchia indelebile nella coscienza di molti, ma forse potrà produrre qualcosa di positivo.
Basta non essere ciechi, sordi.
È “l’ultima occasione”, come scrive Mario Calabresi sulla Stampa, per verificare se l’Europa è all’altezza della sua dichiarata civiltà.

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