Sono passati 32 anni dalla sentenza “decalogo”

Era il 18 ottobre del 1984. La Cassazione fissò per la prima volta una sorta di “decalogo” cui ogni giornalista doveva attenersi per evitare una condanna ad un risarcimento danni in sede civile per un articolo ritenuto diffamatorio. Le famose tre paroline: verità, pertinenza e continenza. Ecco cosa recita in un passaggio: (omissis) Ciò posto, va ricordato che – come ormai la giurisprudenza di questa Corte ha più volte avuto occasione di precisare, sia in sede civile che penale – il diritto di stampa (cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti) sancito in linea di principio nell’art. 21 Cost. e regolato fondamentalmente nella l. 8 febbraio 1948 n. 47, è legittimo quando concorrano le seguenti tre condizioni:
  1. utilità sociale dell’informazione;
  2. verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti;
  3. forma “civile” della esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti.
La «sentenza decalogo» della Cassazione del 1984 (Corte cass. I civ. 18 ottobre 1984, n. 5259) ha posto così dei limiti al diritto di cronaca. Su questo si è aperto nel tempo un ampio dibattito. A questo proposito è molto interessante il punto di vista di Pierluigi Franz, presidente del gruppo romano Giornalisti pensionati presso l’Associazione Stampa Romana, secondo cui con questa sentenza è stato dato in qualche modo il via libera al bavaglio della libertà di stampa: […] Da 30 anni questa parte si é registrato il graduale crollo delle querele in sede penale sostituite dall’aumento esponenziale delle vertenze civili per risarcimento da diffamazione molte delle quali temerarie perché accompagnate da richieste astronomiche per danni al fine mirato di imbavagliare la libertà di stampa. Qui potete leggere il seguito.
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