La crisi sta portando ad una rivoluzione, per nulla indolore, dell’editoria. Un settore rimasto per troppo tempo ancorato a vecchie gabbie e stereotipi. I giornali, per non morire sotto i colpi del “tutto gratis a tutti i costi“, vanno ripensati nella struttura e nella forma. Bisogna renderli appetibili. E bisogna partire dai vuoti che sono stati creati da un’informazione sempre più frammentata e frammentaria, priva di autorevolezza. Sul web impazzano testate, rilanciate e dopate dalle condivisioni sui social, che campano esclusivamente sulla formula “CTRL C + CTRL V“. Una scopiazzatura dissennata che impoverisce tutti, lettori e mercato editoriale. Poi ci sono i siti di disinformazione (vi invito a leggere la black list redatta da Bufale.net). Ma su questo torneremo in seguito. Dall’altra parte, occorre uno sforzo da parte degli editori che devono ripensare la stessa azienda editoriale che, in quanto impresa, può contare su circuiti produttivi e know how interessanti. Un patrimonio che deve essere reinvestito e offerto al mercato attraverso altre attività. Ad esempio, Il Fatto quotidiano, sta puntando alla formazione, attraverso i nuovi corsi della scuola “Emiliano Liuzzi”. Corsi che hanno un costo che oscilla dai 250 ai mille euro.
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