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Riforma nell’Ordine dei giornalisti o giornalismo da riformare con ordine?

In un momento storico in cui si teme l’avvento dell’intelligenza artificiale e c’è già chi si è armato di buona volontà per una battaglia contro i mulini a vento, l’Ordine dei giornalisti lavora alla proposta di riforma dell’accesso alla professione giornalistica. Ho letto con interesse il documento approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti lo scorso mercoledì, 14 giugno 2023. Un voto all’unanimità sulle proposte di riforma. In questo articolo di Redat24 sono evidenziati alcuni aspetti.

Buona la premessa che si trova in testa al documento:

Nei sessant’anni dall’approvazione della legge istitutiva dell’Ordine, 3 febbraio 1963 n. 69, la professione giornalistica ha vissuto cambiamenti legati a una società che si è evoluta in modi complessi, sicuramente non prevedibili dal legislatore. L’apparire di nuove opportunità di informazione e comunicazione, consentite dalle tecnologie, richiede una profonda innovazione della nostra legge istitutiva. L’iscrizione obbligatoria all’Ordine di chi esercita in forma professionale l’attività giornalistica vuole sempre più connotare questa istituzione come garante del rispetto dei principi deontologici, a tutela del cittadino – primo utente dell’informazione – e prima ancora a sostegno della libertà e della democrazia.

Poi si passa al primo obiettivo della riforma dell’accesso alla professione: innalzare il livello formativo delle nuove generazioni di giornalisti, creando – in proiezione futura – un percorso principale o unico attraverso studi universitari specifici. Cosa buona e giusta, nel mare agitato del #tuttisiamogiornalisti. Servono competenze e specializzazioni. Ben vengano i punti su cui dovrà essere preparato chi vuole accedere alla professione:

  • cronaca e linguaggio giornalistico
  • informazione multimediale
  • comunicazione digitale
  • utilizzo delle lingue straniere
  • analisi e impiego dei social

Proseguendo nella lettura del documento ci sono anche delle novità rilevanti.

La riforma mira a qualificare come professionista chi da professionista esercita, cioè chi, nel rispetto degli obblighi formativi, con le garanzie contrattuali proprie della professione, fissando come condizione prioritaria il possesso di una laurea e una formazione specifica, esercita o eserciterà attività giornalistica “in modo sistematico, continuativo e prevalente”, attività cui va collegata una “regolare e congrua retribuzione”, aggiornando così la condizione espressa dall’articolo 1 della legge istitutiva: “Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista”. La congruità e, in aggiunta, la dignità della retribuzione ricevuta e/o del guadagno conseguito attraverso l’attività professionale troveranno indicativamente un loro riferimento certo in un valore stabilito secondo il minimo tabellare lordo previsto per il praticante con meno di 12 mesi di servizio, come indicato dai contratti di lavoro.

Allora, lo sistemo graficamente per comprenderlo meglio.

La riforma mira a qualificare come professionista chi da professionista esercita, cioè chi:

  • nel rispetto degli obblighi formativi
  • con le garanzie contrattuali proprie della professione
  • fissando come condizione prioritaria il possesso di una laurea e una formazione specifica,

esercita o eserciterà attività giornalistica “in modo sistematico, continuativo e prevalente”, attività cui va collegata una “regolare e congrua retribuzione”, aggiornando così la condizione espressa dall’articolo 1 della legge istitutiva: “Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista”.

Dunque, al netto della parte sulla retribuzione di cui si potrebbe parlare a lungo, c’è quella dell’esclusività che salta. Sì, interviene il concetto di prevalenza. E su questo punto ci pensa il documento stesso, dopo qualche capoverso, a dissipare i dubbi.

Si consente quindi agli iscritti di svolgere attività diverse da quella informativa, purché non si verifichi un conflitto di interesse con la professione giornalistica e quest’ultima rimanga la principale a essere svolta.

Le domande che mi pongo sono:

  • A chi giova quest’apertura?
  • Quali sono i vantaggi per il giornalista?
  • Il lettore corre rischi?
  • Ci sono oggi strumenti per rilevare in tempo eventuali conflitti di interesse?

Lascio aperte queste domande e proseguo con il punto che riguarda i pubblicisti: merita un’attenta analisi.

L’articolo 1 della legge del 1963, istituendo l’Ordine dei giornalisti, ha distinto tra professionisti e pubblicisti, riconoscendo come pubblicisti coloro che “svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni e impieghi”. La distinzione, netta in termini di legge, non ha retto nel tempo alla pratica e alla affermazione di un sistema dell’informazione che si è largamente giovato della libertà concessa nella interpretazione della legge. Spesso si è posta la necessità del superamento di tale distinzione tra professionismo e pubblicismo, legandolo a una presunta concezione più moderna del sistema dell’informazione/ comunicazione.

Il superamento della distinzione tra professionismo e pubblicismo è cosa sensata, anche alla luce di una possibilità che viene discussa da tempo: l’istituzione di un elenco dei comunicatori e uno dei giornalisti. Purtroppo non è questa la direzione in cui si va. Anzi, il documento prosegue che…

Tuttavia sarebbe insensato cancellare quanto si è manifestato e consolidato in sessant’anni. Soprattutto sarebbe insensato, di fronte a una mutazione del sistema dell’informazione e della comunicazione, mutazione dettata tanto dalla innovazione tecnologica quanto da una perdurante crisi del sistema dei media, che, lasciando intatte caratteristiche storicamente consolidate della professione, ha ridato in molti casi vitalità alla figura del pubblicista, non condizionata dalla appartenenza a una singola testata. Il riferimento è, ad esempio, al ruolo dei “collaboratori” per tanti organi di informazione locale o minore o specialistica, non solo di quanti contribuiscono sulla base di una specifica e particolare competenza.

Ecco vorrei spiegato questo punto. Metto in evidenza alcuni concetti

  • Insensato cancellare quanto si è manifestato e consolidato in sessant’anni
  • mutazione del sistema dell’informazione e della comunicazione
  • innovazione tecnologica
  • perdurante crisi del sistema dei media
  • vitalità alla figura del pubblicista, non condizionata dalla appartenenza a una singola testata.

Oggi buona parte dei giornalisti professionisti – e non solo pubblicisti – opera da freelance. Una pletora di preparatissimi colleghi lavora quotidianamente per più testate e, per sopravvivere, si divide in quattro – se non in otto – facendo l’operatore video, il montatore, l’inviato per una radio o una tv (e scusate per il termine improprio di inviato, nda), il cronista specializzato per la testata cartacea… e via dicendo.

Il ruolo di “collaboratori” mi riporta sempre alla mente l’articolo 2 del contratto nazionale… ma questa è tutta un’altra storia.

La stessa – altra storia – che avrei voluto leggere e vivere all’interno di una professione che andrebbe riformata con ordine e a partire da alcune consapevolezze. Prima fra tutte che la crisi del sistema dei media non si rivolve fissando il dito ma guardando la luna.

La lotta per l’equo compenso portata avanti dal sindacato dei giornalisti è un esempio. Se da una parte con questa riforma si ridurrà il flusso di aspiranti giornalisti e si creerà una nuova generazione di brillanti professionisti specializzati e con mille titoli, dall’altra si continuerà ad offrire al lettore un’informazione che viene pagata una manciata di euro. E, si sa… quanto paghi, mangi.

Giovanni Villino

Giornalista professionista. Direttore responsabile di Redat24,com. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism. Lavoro per Tgs, emittente televisiva regionale del gruppo editoriale Ses Gazzetta del Sud - Giornale di Sicilia.

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