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Silvio Berlusconi, i giornalisti e la lezione del Qoelet

E’ morto Silvio Berlusconi. Titolo secco. Ieri, lunedì 12 giugno 2023, a metà mattina il lancio delle agenzie, i titoli in primo piano sui siti. Le edizioni straordinarie, i flussi di breaking news che scorrono sui principali network. Pochi istanti e, in modo assai prevedibile, si alza l’ondata di commenti che travolge i social. L’hashtag #SilvioBerlusconi domina. Nel corso della giornata da quelle quattro parole – è morto Silvio Berlusconi – si è passati alle mille sfumature giornalistiche che hanno raccontato la morte di un imprenditore e di un politico. Sfumature che in quanto tali, distanti dai colori netti cui ha sempre richiamato il suo nome, generano cortocircuiti nel binomio Silvio Berlusconi e giornalisti.

Divisivo per sua volontà

Silvio Berlusconi è divisivo. Nulla di nuovo sotto il sole per chi conosce l’imprenditore e il politico che ha fatto anche i conti con la giustizia. O con lui, o contro di lui. Berlusconi non dava margini di manovra. Non c’era una diagonale che si poteva percorrere tra l’essere a suo favore o suo oppositore. Era lui che gestiva i giochi. Volenti o nolenti, c’est la vie.

I giornalisti senza salvagente

Fino a quando nel mare agitato dei social, nella foga di rimanere visibile con un post, ad annaspare è l’utente comune: amen. Non si può chiedere, né c’è da aspettarsi altro. Ma se in questa folle giostra di commenti scendono in campo anche i giornalisti… porsi qualche domanda è lecito. E’ opportuno che chi fa informazione scenda in campo – sui social – a battagliare attorno a un uomo che è stato divisivo per antonomasia? Quali effetti produce generare il dibattito attorno al suo cadavere su una piazza folle e ingestibile come Facebook, Twitter…? Chi ne trae giovamento?

La lezione del Qoelet

C’è stata una gara nel parlare del condannato, imputato e indagato Silvio Berlusconi, così come una “contro-gara” nel difenderlo. Ancora una volta Silvio Berlusconi vive e vince, perché ancora una volta divide. Ma il punto non è questo. C’è una questione che riguarda da vicino una categoria di professionisti che dovrebbe utilizzare i social in modo intelligente, coerente e opportuno. Proprio perché dei social conoscono i possibili effetti nefasti e li condanna quotidianamente dalle colonne dei giornali, dalle radio, dalle tv e dalle testate on line. Il nostro Paese, nella sua splendida Costituzione, garantisce a tutti il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Ma siamo certi che lo strumento utilizzato in questa occasione dai giornalisti sia giusto? Che gli effetti generati siano quelli sperati? Qual è il confine tra l’informare e l’autoreferenzialità dei like o delle condivisioni raccolte? Pensiamo davvero che, nella circostanza della morte, chi è stato con Berlusconi, leggendo post sulle sue vicende giudiziarie e sul percorso culturale che hanno generato le sue tv, si ricreda? Comprendo la rabbia e gli entusiasmi, la memoria e il senso di giustizia…

Ma c’è un tempo per ogni cosa, recita il Qoelet, uno tra i libri più belli dell’antico testamento. “Vanità delle vanità, vanità delle vanità, tutto è vanità”.

Come i principali giornali italiani raccontano la morte di Silvio Berlusconi

Giovanni Villino

Giornalista professionista. Direttore responsabile di Redat24,com. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism. Lavoro per Tgs, emittente televisiva regionale del gruppo editoriale Ses Gazzetta del Sud - Giornale di Sicilia.

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