La crisi dell’editoria, dei giornali, in Italia non è un problema che si deve discutere esclusivamente tra editori e giornalisti, tra imprenditori e personale poligrafico. E’ una questione più ampia che riguarda tutti. Senza organi di informazione a rischio c’è la democrazia. Parole che, forse, a molti sembreranno esagerate. In fondo oggi – diranno in tanti – ci informiamo direttamente su Internet. La questione è una: dove ci si informa su Internet? Abbiamo tutti gli strumenti per decodificare le informazioni che possiamo acquisire sulla pagina Facebook di un politico o sul sito istituzionale di un ente? Il giornalismo non è morto.
Si annuncia ormai da tempo una stagione calda con vertenze e scioperi. Licenziamenti e chiusure. Proprio in questo momento basta aprire il sito della Federazione nazionale della Stampa italiana, il sindacato unitario dei giornalisti, per avere contezza delle criticità. Ecco le ultime vertenze:
Al centro delle discussioni viene posta principalmente la carta stampata. La solida carta stampata che si sta sbriciolando a colpi di click e di scroll sui display. C’è da tempo tra le questioni aperte dagli editori la sostenibilità economica dei contratti di lavoro. Sul fronte giornalistico, ad esempio, si sono sperimentate diverse misure. Ma nei fatti nulla è cambiato. Eppure il dibattito sulla crisi dell’editoria è rimasto relegato, per colpa degli stessi attori della vicenda, ad un problema interno al settore. Colpe, negligenze, imperizia, buona o cattiva fede? Troppo presto per giudicare, troppo tardi per occuparsene. Almeno di questo aspetto. Per capire meglio la crisi dei giornali, sarebbe opportuno farsi prima delle domande sulla sostenibilità e sul modello di business. Ma soprattutto occorrerebbe chiedersi se i ventenni vorranno leggere ancora le notizie del giorno prima, su un supporto privo di plugin di condivisione e senza la possibilità di aggiornamento. Così come gli inserzionisti. Siamo certi che rifiuteranno la possibilità di ricevere click direttamente da un lettore profilato…
Sul fronte della carta stampata ci sono piani differenti che possiamo andare ad esaminare. Intanto sono due i livelli che potremmo definire esterni.
E due le, quasi, immediate conseguenze
Con Internet si è diffuso un approccio all’informazione che nei fatti ha modificato strutturalmente la fruizione stessa delle notizie. Siamo di fatto circondati da contenuti totalmente gratuiti. Il lettore del quotidiano nel tempo ha cambiato abitudini e, soprattutto, dispositivi. Oggi la banda larga, la fibra, il wifi gratuito e diffuso, hanno permesso un accesso continuo alla Rete. E quindi alla fruizione dei suoi contenuti, anche delle notizie. Nel frattempo i giornali, la carta stampata in genere cosa ha fatto? Ha alzato il prezzo di copertina del quotidiano e ha avviato una strategia di sopravvivenza delle testate fatta di tagli e riduzioni. Dal personale alla foliazione. E nell’agonia generale di un settore, chiede a gran voce l’aiuto dello Stato. Ma siamo certi che il modello sia quello esatto? E soprattutto la strada giusta su cui perseverare?
Nel frattempo il fattore economico ha giocato un ruolo fondamentale. La crisi che ci trasciniamo da oltre un decennio sembra essere destinata a rimanere come una eco sbiadita in diversi settori merceologici e industriali. La carenza di appeal dei quotidiani (e su questo punto ne abbiamo già parlato in precedenza sempre su Redat24) e la possibilità di targettizzare attraverso i social e il web i propri messaggi promozionali, ha di fatto spostato gli investimenti pubblicitari.
La domanda è tanto breve quanto lunga e complessa è la sua risposta. Non possiamo pensare che si possa limitare il tutto ad una carenza di fondi pubblici all’editoria. Né tanto meno ridurre la discussione a un problema di tipo economico. Di mezzo c’è un fattore culturale che investe tutti. Cittadini, imprenditori, giornalisti, editori. Oggi i lettori potenziali ci sono. I giornalisti pronti a incontrarli un po’ meno. La nuova generazione di editori non sembra ancora essere pronta.
Su NiemanLab, una pubblicazione che si occupa di giornalismo, qualche tempo fa è stata posta una domanda: «Se i giornali hanno difficoltà a ottenere profitti senza operare grossi tagli ogni anno, perché allora non diventano società no-profit?».
Sul Post, nel 2014, è stato pubblicato un intervento di Clay Shirky, da molti anni uno dei più seguiti e competenti esperti di innovazione digitale e di temi legati ai media, alla rete e ai social network.
“I giornalisti sono stati trattati da bambini in tutto il decennio passato, mantenuti in uno stato di relativa ignoranza rispetto alle aziende per cui lavoravano. Un amico mi ha raccontato una storia su alcuni giornalisti a cui è stato chiesto quante copie reali vendesse il loro giornale, e hanno risposto con cifre che andavano da 150mila a 300mila. La verità era 35mila. Se un giornalista fosse altrettanto disinformato su una storia di cui sta scrivendo, il giornale gliela toglierebbe”.
(qui l’articolo)
Nell’articolo vengono dati tre suggerimenti, proprio ai giornalisti:
L’analisi di Redat24 continua nel prossimo post.
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