Giornalisti, contratto Fieg Fnsi Come ti rivoluziono la professione

Un contratto che potrebbe segnare una svolta epocale. Una rivoluzione per il comparto giornalistico. E’ ancora troppo presto per dire se ci si troverà davanti ad una evoluzione o al suo esatto contrario. Ma i timori sono tanti e, in parte, fondati. Alla conferenza nazionale dei comitati e fiduciari di redazione, che si è tenuta a Roma lo scorso mercoledì, è stato fatto il punto su questo sofferto rinnovo contrattuale. Negli appunti raccolti dalla Fnsi si leggono passaggi e dati emblematici. Al 31 dicembre 2015 i lavoratori dipendenti con una contribuzione Inpgi erano 15.461, solo pochi anni fa sfioravano il tetto di 19 mila. Nel 2001 l’istituto di previdenza dei giornalisti  ha speso mezzo milione di euro per pagare la cassa integrazione a 241 colleghi, nel 2015 tra cigs e solidarietà il costo sostenuto è stato di 22 milioni di euro e ha riguardato 5.155 colleghi.
In questo contesto la Fnsi punta ad un obiettivo: favorire la crescita dell’occupazione. I canali proposti al momento per avviare questo percorso sono due:

  1. Allargamento delle qualifiche professionali inserendo nel perimetro giornalistico mansioni legate al web.
  2. Passaggio dal lavoro autonomo al lavoro subordinato di un certo numero di collaboratori oggi inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi (Co.co.co.).
Secondo la relazione della Fnsi, la Federazione degli editori sarebbe contraria a entrambi gli aspetti. Anche se non viene manifestata una chiusura definitiva. Secondo la Fieg potrebbe favorire l’occupazione il “salario d’ingresso“, per il quale viene chiesta la conferma, e la riduzione strutturale del costo del lavoro. La parte più interessante del documento della Fnsi è proprio quella relativa alle richieste degli editori. Un elenco che sarebbe stato già sottoposto al sindacato nel 2014. Si tratta di 25 punti che di fatto mirano ad un indebolimento strutturale dell’attuale contratto e, allo stesso tempo, ad una ulteriore precarizzazione dello stesso lavoro giornalistico. Viene ad esempio chiesto l’aumento del numero di contratti a termine possibili.

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E anche sul fronte delle qualifiche gli Editori chiedono di prevedere che per anzianità professionale si intenda l’effettiva attività di lavoro giornalistico subordinato e non l’anzianità di iscrizione all’albo. Sull’orario di lavoro la Fieg chiede che questo si possa articolare anche su 6 giorni e la decisione possa essere attuata anche senza un’intesa raggiunta col Cdr. La settimana corta dovrebbe secondo la Fieg scattare dopo aver prestato attività lavorativa per almeno 5 giorni. Se non usufruito entro 60 giorni, il giorno di corta decade. Sempre gli editori puntano ad abolire la maggiorazione del 30 per cento per la cessione dei servizi ad altre aziende o testate. C’è nel documento la previsione sulla riduzione dell’arco del lavoro notturno (oggi dopo le 23 e prima delle 6) dalle 24 alle 6. Sul fronte delle ferie, in presenza di cassa integrazione o contratti di solidarietà, i giorni di ferie maturerebbero in proporzione alle giornate effettivamente lavorate. Un passaggio, che non sorprende, è quello relativo al Cdr.
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Ancora c’è un tavolo di confronto aperto. Ma i tempi stringono. Nel prossimo post faremo il punto sulle proposte del sindacato e sulle modifiche previste per favorire quella tanto attesa crescita dell’occupazione. Di fatto la professione è stretta in una morsa assai pericolosa. L’assenza di prospettive di sviluppo per l’intero settore è in realtà costruita sull’assenza di progettualità e visione di rilancio. Che il giornalismo sia cambiato nel corso dell’ultimo ventennio è un dato di fatto. C’è una esasperata corsa al ribasso sul fronte dei costi che sta creando dei mostri. Ci sono prodotti giornalistici che si possono definire tali solo nella forma, nella registrazione della testata, ma che sostanzialmente producono disinformazione, danneggiando l’immagine di una categoria e creando cortocircuiti interni spesso poco sanabili. Tutto questo non deve però portare a conclusioni surreali. L’on line invece di essere visto come un’opportunità, viene, infatti, additato come il male assoluto. Ma le cose non stanno così. E solo questione di prospettive. Speriamo non ci si debba ridurre a continuare a combattere contro i mulini a vento mentre qualcuno ci porta via il cavallo.
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