Branding journalism, quando il giornalista sui social può anche essere utile

Fabio Dotti in un articolo pubblicato su Ejo, l’Osservatorio europeo di giornalismo, affronta questo tema: “Le aziende mediatiche minimizzano l’identità personale dei giornalisti sui social network“. Il branding serve, in qualche modo, a creare rapporti con i potenziali clienti, o nel caso nostro lettori, per far crescere in loro la fedeltà e l’attaccamento al marchio, nel caso del giornalismo può essere una testata o un gruppo editoriale.
Scrive Fabio Dotti: “Lo studio mette in luce come la libertà dei giornalisti nel branding individuale si sia trasformata progressivamente in una funzione più aziendale e corporate: molti datori di lavoro ed editori, infatti, richiedono modifiche alle abitudini dei loro giornalisti sui social media, a cominciare dalla presentazione delle loro identità personali. Le pretese possono variare e comprendere l’aggiunta del nome o del logo della testata nei profili o la promozione di eventi o collaborazioni promosse dall’azienda. Ai giornalisti, inoltre, può anche essere chiesto di condividere più articoli della testata per cui lavorano e meno pezzi esterni”.
L’ideale per le aziende mediatiche sarebbe riuscire a sfruttare il branding personale del giornalista, il quale potrebbe trasportare i suoi seguaci sul sito dell’azienda per il cui lavora. Ma le cose, al momento, vanno in modo diverso. Per saperne di più, clicca su questo link, troverai l’articolo completo.