La censura di Facebook

Come pensiamo di poter costruire una cultura giornalistica decente per il futuro a partire dai Community Standards di Facebook? Davvero stiamo delegando la notiziabilità e la selezione dei contenuti da mostrare a un pugno di algoritmi, allo strumento di segnalazione del social network (utile randello digitale) e a un esercito di freelance specializzati in microtask sparsi per il mondo?

La domanda viene posta da Simone Cosmi in un articolo pubblicato qualche giorno fa su Wired. Si parla di un servizio giornalistico rimosso, un’inchiesta di denuncia sulle condizioni in cui vengono trattati ragazzi e bambini nei centri di detenzione minorile degli isolatissimi Territori del Nord in Australia. Spostandoci in Italia, l’ultimo caso di censura, perché di questo si parla, riguarda Michele Rech, ovvero Zerocalcare. E in particolare un post che ha scatenato una sassaiola a colpi di offese e attacchi verbali sul suo account. Conseguenza di tutto questo? L’oscuramento su Facebook.
Basta poi fare una rapida ricerca e scoprire quante cose vengono quotidianamente oscurate dal signor Mark Zuckerberg e dal suo staff. L’Huffington Post ne dà in qualche modo un’idea in questo elenco.
Alla luce di tutto questo è facile comprendere come in realtà la pubblica piazza virtuale, in cui pensavamo di condividere i nostri contenuti e apprendere quelli degli altri, vada diventando sempre di più un ghetto. Uno spazio che ci rende schiavi attraverso un newsfeed gestito da algoritmi. Un sistema che ci priva di certi aggiornamenti a discapito di altri. Facebook non è internet. E anche questo articolo che adesso andrò a postare sul social di Mark sarà visto solo da chi verrà ritenuto idoneo dall’algoritmo. A meno che non paghi…

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