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Giornali on line: troppi o tanti?


Siamo troppi o tanti? Parliamo di quotidiani on line. Tony Siino, blogger e fondatore della community “Social influencer“, ad un post che annunciava la nascita di un nuovo prodotto editoriale, commentava così:   

Di quotidiani on line e di siti di informazione il web è pieno, al di là di ogni confine geografico. Testimonianza di questo vivace proliferare è il flusso quasi ininterrotto di link sui social. Negli ultimi anni il numero di testate è cresciuto in modo esponenziale. Complici i bassi costi di realizzazione e la facilità nella gestione di Cms vari. L’idea di “farsi un giornale” pur solleticando la vanità di molti, rischia tuttavia di generare un’orticaria diffusa… in chi di editoria intende vivere e in chi cerca Informazione.
Giovedì scorso il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, Riccardo Arena (disclaimer: sono consigliere OdgSicilia), ha presentato la sua relazione annuale, illustrando prima di tutto i dati. La carta stampata arranca. Eccome se arranca. Il quotidiano più venduto d’Italia è il Corriere della Sera con 375.566 copie al giorno. Sì, 370 mila copie. In un Paese con 60 milioni di persone… forse c’è da stare poco allegri. Sempre nella relazione si legge: 

Ma vogliamo dire chiaro e tondo che se i nostri giornali si vendono di meno e se la credibilità della nostra informazione regionale, anche online, precipita, è perché il nostro mestiere forse potrebbe essere fatto meglio? Vogliamo dire chiaro e tondo che i siti copia-e-incolla e i quotidiani sempre più trasandati, fanno male alla lingua italiana e alla cultura minima essenziale di un intero Paese? Vogliamo dire chiaro che – mentre discutiamo e dibattiamo animatamente su quale dovrà essere il futuro numero dei consiglieri nazionali dell’Ordine – la riforma dell’editoria non affronta per nulla il problema dei problemi, che è e resta quello dell’accesso alla professione di giornalista e del successivo mantenimento del titolo? Di fronte a questi numeri impietosi, invece di studiare i rimedi si cercano alibi: il web dilagante, la tv, la radio, la free press, la crisi che in certi ambienti sociali rende difficili anche i piccoli acquisti, insomma tutto meno una parola sempre più difficile, qualità.

E l’informazione sul web come sta? Sicuramente dal nascere ininterrotto di testate sembrerebbe un terreno fertile, almeno per l’imprenditoria 2.0. Ma stanno davvero così le cose? Quale qualità viene oggi assicurata da buona parte dei quotidiani on line? E quale sostenibilità hanno, questi prodotti editoriali, dal punto di vista economico? Ci sono quotidiani on line gestiti da brillanti giornalisti che non sono editori. E siti di notizie diretti da coloro che, pur potendo vantare l’iscrizione all’albo, non hanno dimestichezza con il mondo dell’informazione. Ci sono poi quotidiani acchiappaclick che richiedono la collaborazione a “titolo gratuito”, assicurando “però” la massima visibilità.

L’informazione richiede autorevolezza, accuratezza e obiettività. E per rendere possibile tutto questo è necessario il lavoro dei professionisti dell’informazione, i giornalisti. Ma ci vogliono anche gli editori che sono coloro che, attraverso l’attività imprenditoriale, possono garantire  una retribuzione congrua a chi lavora. Si può a questo punto aprire un interminabile dibattito sulla figura trina ed unica del direttore/editore/cronista sempre più in auge, della professionalità di alcuni giornalisti o sulla funzione dell’Ordine dei giornalisti. Ma il problema reale è che dentro questa fase di transizione, di passaggio… gli strumenti per agire con efficacia sono davvero limitati. Così come l’antico e atavico dilemma del saper distinguere questioni di ordine sindacale con questioni di tipo ordinistico. L’Ordine può agire sugli iscritti. E questo viene fatto, senza troppi sensazionalismi. Ci sono in corso procedimenti molto importanti che richiedono un lavoro meticoloso e massima discrezione. Ma spesso siamo soliti guardare al dito e non alla luna. Sempre dalla relazione di Riccardo Arena si legge:

[…] Rispetto all’anno scorso, così, abbiamo 52 iscritti in meno in questo elenco (speciale), ma siamo scesi anche di 19 professionisti e 159 pubblicisti. Ed è vero che le revisioni finalmente funzionano, perché ci sono state 151 cancellazioni di ex colleghi risultati inattivi o non retribuiti, per niente o in maniera del tutto insufficiente; ma è anche vero che abbiamo perso per strada 98 pubblicisti che si sono volontariamente cancellati e, sempre nel corso dell’intero 2015 e fino al 26 marzo 2016, registriamo pure 39 professionisti in meno. Solo le nuove iscrizioni consentono di contenere le perdite. In Sicilia coloro che hanno una posizione Inpgi2, cioè a coloro che collaborano attivamente con testate registrate e guadagnano da questo lavoro, sono 2.004 su 5.212 iscritti. Ci sono tremila iscritti di cui si sa poco. 

In conclusione, ritengo che i quotidiani on line, se fatti bene, non possano mai essere troppi. Sicuramente oggi sono tanti. Ma tutto questo non dovrebbe preoccupare. Alla lunga sarà una certa economia a ricoprire in modo efficace il ruolo di mietitore. Perché gratis non si può fare informazione. E il lettore, alle volte vituperato, sa scegliere (o meglio cerca) la buona informazione. 
In un’intervista De Bortoli diceva: “Un giornale deve mantenere le proprie posizioni, anche se apparentemente impopolari. Non deve inseguire i social network, perderebbe identità. Blog e aggregatori sono fenomeni interessanti e innovativi, alcuni sono di qualità, altri pescano a strascico fra i malumori della società. Vedendo il successo di teorie complottiste, razzismi vari, falsità che si trasformano, grazie alla condivisione, in verità incontestabili, si può apprezzare ancora di più il ruolo di un giornalista professionista che, come diceva un vecchio detto, separa il grano dalla pula. E pubblica solo il grano. Utile per fare il pane dell’informazione”.

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