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Sindacato e giornalisti, ciò che non mi appartiene

 di Giovanni Villino

Sono passate 24 ore dal voto che ha riconfermato il segretario uscente Roberto Ginex e visto l’ingresso di Totò Ferro e Davide Di Giorgi nella segreteria provinciale dell’Assostampa di Palermo. Ho appena letto un articolo pubblicato da Giornalistitalia. Si parla di “terremoto all’Assostampa Palermo”. Ho sorriso, amaramente. La candidatura di Riccardo Vescovo, tesoriere uscente, ha aperto un dibattito, per tanti versi, necessario. Necessario innanzitutto per un confronto tra le parti. Il mondo giornalistico è stato diviso. Da una parte ci sono coloro che oggi vivono grazie ad un contratto (su cui tuttavia si cominciano ad addensare le insidiose nubi dell’incertezza), dall’altra abbiamo chi invece sopravvive da anni di espedienti. Sia chiaro, gli espedienti non sono frutto di una libera scelta del giornalista freelance (formula elegante), ma di un volere degli editori e di un mercato del lavoro che non ha visto nel tempo l’imposizione di argini normativi. O, se gli argini oggi ci sono, nessuno sembra avere tra le mani gli strumenti per applicarli.

Ho riso amaramente leggendo l’articolo sopra citato perché questo confronto – vitale per la categoria – è stato avviato/spostato su un terreno insidioso: quello dello scontro tra le parti… sfida ai vertici, lista d’opposizione. Avrei voglia di dire: stop gioco. Non è questo il terreno su cui deve essere messo in discussione un tema delicato come la “rappresentatività“. Ho trascorso la giornata di sabato negli uffici di via Francesco Crispi e si è parlato di tante cose: di chi vuol mettere il cappello, di indicazioni, di telefonate, di messaggi, di chiamata alle armi… ops, alle urne. Ho visto volti e nomi espressioni di tizio, caio e sempronio. Cose molto vecchie che sembrano tuttavia non avere età. Troppe contraddizioni che stridono fortemente tra loro, soprattutto se ci chiediamo serenamente: qual è l’oggetto del contendere? 
Hanno votato, tra professionali e collaboratori, in 114 su 284 aventi diritto. Numeri che sono comunque specchio anche di un’attività di chiamata diretta. E sono numeri che non mi sorprendono. Costruiamo tutti nel nostro lavoro rapporti di fiducia e di amicizia. Ma da qui a fare sentire il sindacato come luogo di tutti il passo non è immediato. O forse neanche passa dai numeri questa consapevolezza. L’unità è la forza del sindacato. Ci si può sbracciare e lavorare. Sfido chiunque, domani mattina, a bussare alle porte di via Crispi e trovare chiusure e impedimenti. Si può costruire, sempre e comunque per il bene della categoria e si possono mettere in comune programmi e progetti. Le prove di forza – per natura – non mi appartengono. Le lascio ad un antico modo di intendere la politica all’interno degli organismi di categoria. 
Oggi abbiamo dei colleghi validi alla guida del sindacato. Perché sono stati scelti come sempre, e questa volta votati. E, come ho già detto in assemblea, non è comunque l’assenza dell’acclamazione a dare maggior credito e prestigio a questa elezione. Riccardo Vescovo, oltre ad essere un bravo collega – come me precario – è anche un amico con cui ho condiviso disavventure e percorsi professionali. Spero che le sue lucide visioni non siano annebbiate da logiche di scontro. Non possiamo permettercelo. E spero che insieme a Roberto, Riccardo, Alessia, Totò, Marina e Davide si possano costruire le basi per un sindacato che deve guardare al futuro.

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